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1. Scopo del documento

Il testo esprime la posizione di MERA25 Italia sul tema del fine-vita, fase dell’esistenza di una persona segnata da una malattia severa e irreversibile, nella quale i trattamenti medici possono solo prolungare la vita biologica, senza garantirne la qualità e la dignità.

2. Terminologia

Prima di affrontare il tema, è necessario chiarire alcuni termini fondamentali

l’eutanasia è l’atto con cui un medico (o un altro soggetto) somministra direttamente un farmaco letale a una persona che lo ha richiesto, per porre fine alle sue sofferenze; attualmente in Italia è vietata e punita dal C.P. (reato di omicidio del consenziente, art. 579)

– il suicidio medicalmente assistito è l’atto con cui il paziente assume autonomamente un farmaco letale prescritto e fornito dal medico, per porre fine alla propria vita; a differenza dall’eutanasia in questa fattispecie è il paziente stesso ad agire e per questo motivo nel linguaggio giuridico viene solitamente utilizzato il termine di “autosomministrazione di farmaco letale” (al posto si suicido assistito) per evitare temini connotati eticamente

– le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) sono il documento scritto con cui una persona, quando è ancora capace di intendere e volere, dichiara in anticipo quali trattamenti sanitari accetta o rifiuta, nel caso in cui in futuro non fosse più in grado di esprimere la propria volontà; le DAT sono legalmente riconosciute in Italia dalla Legge 219/2017.

– l’interruzione dei trattamenti sanitari (comprese l’alimentazione e l’idratazione artificiali) è l’atto con cui il paziente rifiuta o interrompe qualsiasi trattamento sanitario, anche se necessario a mantenerlo in vita; la Legge 219/2017 lo riconosce come diritto del paziente, espressione del principio di consenso informato (non equivale all’eutanasia perché non implica somministrazione di farmaci letali)

– la sedazione profonda continua fino alla morte è un atto medico che consiste nella somministrazione di un trattamento palliativo che induce nel paziente uno stato di incoscienza profonda fino alla morte, quando non ci sono alternative per alleviare la sofferenza. In Italia è ammessa in casi specifici previsti dalla legge e dalle linee guida della medicina palliativa (non equivale all’eutanasia, perché non accelera direttamente la morte ma ne accompagna il processo)

3. Evoluzione giurisdizionale in Italia

La Convenzione di Oviedo (1997), primo trattato internazionale sui diritti umani in biomedicina, riconosce l’autonomia del paziente, incluso il diritto a rifiutare le cure. L’Italia l’ha ratificata nel 2001 ma per anni è mancata una legge applicativa concreta.

I casi Welby (2006) ed Englaro (2009) hanno acceso il dibattito pubblico e politico sul tema, evidenziando l’urgenza di regole precise; entrambi riguardavano pazienti in stato vegetativo per gravi patologie neurologiche, per i quali le famiglie hanno chiesto l’interruzione di trattamenti sanitari ma che in assenza di una legge chiara sul tema hanno dovuto attendere a lungo e affrontare estenuanti battaglie legali (nel caso Englaro, per oltre 10 anni) prima di ottenere quanto richiesto.

La legge 219/2017 ha rappresentato una svolta, introducendo come visto le DAT e la libertà del paziente di rifiutare cure, anche salva vita, e sancendo che qualsiasi atto medico agito senza adeguato consenso e’ da considerarsi illegittimo.

La successiva sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 (caso Cappato/Dj Fabo) ha sancito che non è punibile chi aiuta una persone a morire, legalizzando di fatto il suicidio assistito, a condizione vengano rispettati quattro requisiti fondamentali: consapevolezza del paziente, malattia irreversibile, sofferenze intollerabili, dipendenza da trattamenti vitali.

Il quadro legale è stato ulteriormente definito dalla sentenza n. 135 del 2024 della Consulta che ha esteso la definizione di “trattamento sanitario di sostegno vitale” anche all’assistenza fornita da caregiver, non solo ai macchinari.

Sulla base di queste importanti decisioni della Consulta, nei mesi successivi alcune regioni (Marche, Veneto, Toscana, Emilia-Romagna) hanno autorizzato alcuni casi di suicidio medicalmente assistito nel rispetto di criteri costituzionali; in assenza di una normativa nazionale, in febbraio 2025, la Regione Toscana ha varato una legge regionale sul suicidio medicalmente assistito(n. 16/2025) che istituisce commissioni mediche permanenti, garantisce tempi certi per la valutazione (massimo 54 giorni), offre prestazioni gratuite e stanziamenti di fondi regionali per l’accesso alle procedure.

Il Governo centrale ha però impugnato tale legge per conflitti di competenza, ostacolandone l’applicazione.

In luglio 2025 la maggioranza ha a sua volta presentato in Senato un disegno di legge sul fine-vita (relatori Zanettin, Forza Italia, e Zullo, Fratelli d’Italia) che prevede: l’istituzione di un Comitato Nazionale (7 membri nominati dal Presidente del Consiglio) che valuta le richieste di suicidio assistito entro periodo di 60 giorni (prorogabile di 30); l’obbligo di presa in carico del paziente da parte di équipe di cure palliative, come filtro obbligatorio (per verificare se il desiderio di morire persista nonostante il trattamento del dolore); l’esclusione del Servizio Sanitario Nazionale dalla procedura del fine vita (personale, strutture e farmaci), che obbliga chi desidera accedervi a rivolgersi a strutture private e a sostenerne i costi; la possibilità di ripresentare la domanda dopo 180 giorni in caso di rifiuto.

Questa proposta ha suscitato aspre critiche da parte della comunità scientifica e società civile perche’

  •  limita l’accesso solo a pazienti dipendenti da macchinari, escludendo chi è assistito da caregiver (contraddicendo la sentenza 135/2024)
  •  crea ulteriori ostacoli e limitazioni ponendo l’obbligatorietà delle cure palliative anche dove queste non sono disponibili
  •  sacrifica le competenze e l’esperienza diretta delle strutture territoriali in favore di un Comitato nazionale di nomina politica
  •  trasforma una scelta sanitaria in un privilegio riservato a chi dispone delle risorse organizzative e economiche necessarie

4. La situazione internazionale

Negli ultimi decenni, a livello globale, si è registrato un trend crescente verso la regolamentazione dell’assistenza al fine vita.

In Europa, Paesi Bassi e Belgio consentono dal 2002 eutanasia e suicidio assistito, regolati da criteri rigorosi quali la sofferenza insopportabile, la piena autonomia della volontà e la valutazione di almeno due medici; in Belgio le procedure sono estese anche ai minorenni con consenso dei genitori. Il Lussemburgo ha introdotto norme analoghe nel 2009, mentre più recentemente la Spagna (2021) e il Portogallo (2023) hanno legalizzato eutanasia e suicidio medicalmente assistito per residenti affetti da malattie gravi e fonte di sofferenza insopportabile. In Austria, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, dal 2022 è ammesso il suicidio assistito, mentre l’eutanasia attiva resta vietata. In Germania, nel 2020, la Corte costituzionale ha annullato il divieto di suicidio assistito, consentendo a privati e associazioni di fornirlo, ma senza ancora una legge che ne regoli modalità e limiti.

Fuori dall’UE, la Svizzera consente il suicidio assistito (anche per pazienti stranieri) purché non vi siano scopi egoistici, vietando però l’eutanasia attiva. In Canada, il Medical Assistance in Dying Act (MAID, 2016) legalizza sia l’eutanasia attiva volontaria sia il suicidio medicalmente assistito per pazienti adulti con malattie gravi e condizioni irreversibili in fase terminale; nel 2021 la legge è stata estesa anche a patologie gravi e incurabili non necessariamente terminali, con l’esclusione temporanea dei disturbi mentali come unica condizione. In Australia, dal 2019, la normativa statale sul Voluntary Assisted Dying legalizza sia l’eutanasia volontaria sia il suicidio assistito in quasi tutti gli Stati (Victoria 2019, New South Wales 2023, altri progressivamente). In Nuova Zelanda, il referendum del 2020 ha portato all’approvazione dell’End of Life Choice Act, che consente sia l’eutanasia volontaria sia il suicidio assistito per malati terminali.

Negli Stati Uniti, il Death with Dignity Act (introdotto per la prima volta in Oregon nel 1997) e leggi analoghe oggi vigenti in 11 Stati e nel Distretto di Columbia, autorizzano esclusivamente il suicidio medicalmente assistito per pazienti adulti, capaci di intendere e volere, con prognosi di vita non superiore a sei mesi, previa doppia valutazione medica e periodo di attesa. Nel Regno Unito, dove l’assistenza al suicidio resta illegale e punita fino a 14 anni di carcere, la Camera dei Comuni ha recentemente approvato un disegno di legge per consentire il suicidio medicalmente assistito a adulti terminali in Inghilterra e Galles, ora all’esame della Camera dei Lord.

5. Il caso Laura Santi: una lunga battaglia personale

Laura Santi, giornalista e attivista dell’Associazione Luca Coscioni, affetta da grave patologia neurologica, ha avviato nel novembre 2022 il percorso per il suicidio assistito presso l’AUSL Umbria 1.

Nonostante il riconoscimento dei requisiti avvenuto in novembre 2024 (grazie anche alla sentenza 135/2024), il percorso ha subito ulteriori ritardi burocratici e amministrativi e ha potuto completarsi, dopo diversi ricorsi e diffide, solo nel luglio 2025 con autosomministrazione autorizzata del farmaco letale.          Prima di morire, Laura Santi ha affidato all’associazione Luca Coscioni una struggente lettera di commiato. Dalle sue parole emerge una profonda umanità e una straordinaria forza d’animo, con cui racconta il peso della malattia, l’amore per la vita e la volontà di viverla fino all’ultimo istante: «Quando leggerete queste righe io non ci sarò più, perché avrò deciso di smettere di soffrire… È il gesto più totale e definitivo che un essere umano possa compiere, ci vogliono sangue freddo e nervi d’acciaio… Cercate di immaginare quale strazio di dolore mi ha portato a questo gesto, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto .. dietro un bel sorriso […] c’era una quotidianità dolorosa, spoglia, feroce e in continuo peggioramento. Non riuscire più a compiere il minimo gesto, non godere più della vita né delle relazioni sociali. Questo per me è ciò che fa una vita dignitosa… Me ne vado avendo assaporato gli ultimi bocconi di vita in modo forte e consapevole. Ricordatemi come una donna che ha amato la vita.» Le sue parole ribadiscono con chiarezza un principio di libertà personale dal valore universale: «Ogni vita resta degna di essere vissuta, anche nelle condizioni più estreme. Ma siamo noi, e solo noi, a dover scegliere» Nella parte finale, l’attivista lancia un forte appello alla politica e alla società: «Sul fine vita sento uno sproloquio senza fine, l’ingerenza cronica del Vaticano e l’incompetenza della politica. […] Pretendete una buona legge che rispetti i malati e i loro bisogni. Esercitate lo spirito critico, fate pressione, organizzatevi.» [Leggi qui la lettera integrale: https://www.associazionelucacoscioni.it/lettera-di-saluto-di-laura-santi]

6. Conclusione

La lettera di Laura Santi è un poderoso atto di libertà e dignità, perché esprime il coraggio e la responsabilità della persona di fronte alla sofferenza legata alle proprie condizioni fisiche e al gesto estremo che sta per compiere. Su un altro piano, questa testimonianza assume un forte significato politico, perché denuncia l’inerzia delle istituzioni nel rendere effettivi i diritti sanciti dalla Corte Costituzionale, e un grande valore civile, perché invita a non rassegnarsi e a continuare a lottare per trasformare casi individuali in cambiamenti concreti. 

MERA25 non si rassegna: respinge la proposta di legge del governo,  restrittiva e lesiva dei diritti già riconosciuti, e chiede un testo alternativo fondato su umanità, laicità e autodeterminazione, che  garantisca equità di accesso su tutto il territorio nazionale, tempi certi e procedure trasparenti, con pieno coinvolgimento del Servizio Sanitario Nazionale e dei comitati etici territoriali vicini ai cittadini. La facoltà di disporre della propria vita fino alla fine, anche  in condizioni estreme di sofferenza e debolezza, non è un privilegio ma un diritto costituzionale che lo Stato deve rendere effettivo, senza ostacoli burocratici né discriminazioni. 

Immagine: Agf

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